La dorsale dell’Appennino Umbro – marchigiano che si snoda da Pietralunga sino a Nocera Umbra , con i suoi rilievi montuosi a tratti dolci ed arrotondati e a volte aspri e scoscesi, modellati per milioni di anni dal lavoro incessante dell’acqua, ricoperti di boschi di quercia, carpino e faggio e di praterie costellate di fiori, rappresenta uno scrigno di ricchezze naturalistiche e di biodiversità di immenso valore . Con questo percorso ideale faremo un viaggio attraverso questi territori così ricchi di valenze ambientali
Partiamo dal territorio di Pietralunga, con i suoi rilievi di natura marnoso arenacea, è l’ambiente adatto per lo sviluppo di immensi boschi di latifoglie quali quercia, roverella, cerro, carpino, olmo, frassino, acero e castagno. Le foreste demaniali di Pietralunga si estendono attorno al borgo medioevale di Pietralunga, estendendosi verso Nord sino all’Alpe della Luna, a Ovest verso la Valle del Tevere, e ad Est lambiscono la Serra di Burano e le aspre cime calcaree del Monte Nerone. L’ importanza naturalistica ed ecologica di queste foreste è testimoniata dal fatto che La Regione Umbria ha qui istituito due SIC (Siti di Interesse Comunitario) : le Zone Speciali di Conservazione “Boschi di Pietralunga” per 1487,00 ettari di superficie e Boschi dei Monti Rosso e Sodolungo per 2597,00 ettari di superficie. Il territorio di Pietralunga è ricco di altre emergenze naturalistiche come l’ Oasi naturalistica di Candeleto : una area protetta, ampia ed articolata, che si estende per circa 1000 ettari sulla collina di Candeleto, fra le valli dei torrenti Carpina e Carpinella. La sommità della collina, dominata dal Monte Croce (m. 735 di altitudine), è rivestita da vaste Pinete di Pino nero, con presenza di Abeti e Pino Silvestre, frutto di rimboschimenti effettuati all’inizio del secolo e che conferiscono al paesaggio un aspetto di tipo alpino. Nell’Oasi di Candeleto ha sede , presso la ex Caserma del Corpo Forestale dello Stato il Museo Ornitologico “Silvio Bambini che presenta una stupenda collezione di 280 uccelli e 40 mammiferi imbalsamati. Dominatori incontrastati di tale foresta sono i roditori: lo Scoiattolo, ghiotto di pinoli, il Ghiro ed Moscardino. Qui convivono la Volpe ed il Cinghiale, il Tasso e l’Istrice, mentre Gazze e Ghiandaie volano circospette di ramo in ramo, ed il Gheppio, di giorno, e l’Allocco, di notte, presidiano il cielo.
La Valle del Carpina è un’area di particolare interesse naturalistico incastonata fra l’Alta Valle del Tevere e la dorsale appenninica Umbro-Marchigiana. Si tratta di un bacino idrografico di 130 kmq. dove il torrente Carpina ed il suo principale affluente, la Carpinella, determinano un territorio suggestivo e selvaggio, in gran parte ricoperto da fitti boschi di cerro e roverella. L’Oasi naturalistica di Varrea : area protetta costituita da oltre novecento ettari di bosco ininterrotto di Cerro e di Faggio che tappezza le pendici di tre profondi valloni, rifugio naturale per un piccolo nucleo familiare di Lupi che danno il nome allo stupendo sentiero che la attraversa: gli Anelli del Lupo. L’area sommitale, caratterizzata da versanti fortemente erosi, con roccia nuda affiorante (che in alcuni tratti forma suggestivi CALANCHI) costituisce una eccezionale balconata sulle catene montuose adiacenti: Serra di Burano, Monte Nerone, Monte Catria e Monte Cucco. Proseguendo il nostro viaggio verso sud incontriamo le Serre di Burano, un regolare rilievo con una quota di circa 1000 m slm orientato da Nord-Ovest a Sud-Est, costituito da arenarie e argille marnose che costituisce il confine politico-amministrativo tra le Marche e l’Umbria. Le Serre sono caratterizzate da pascoli, brughiere e felceti, frutto di antico diboscamento. La zona è di grande interesse floristico per l’esistenza di brughiere costitute da Brugo (Calluna Vulgaris) una varietà di Erica che qui trova la sua collocazione più meridionale d’Europa.
Il nostro percorso continua verso Gubbio dove incontriamo la Gola del Bottaccione detta anche Gola dell’Iridio, un importantissimo sito geologico di rilevanza mondiale. La Gola del Bottaccione è stata scavata dal torrente Camignano che ha tagliato le rocce calcaree formatesi con la graduale deposizione e sedimentazione in acque relativamente tranquille nell’arco di 50 milioni di anni, dal Cretaceo superiore all’Eocene inferiore, da 95 a 45 milioni di anni fa.
Le rocce del Bottaccione contengono un piccolo strato di argilla databile a circa 66 milioni di anni fa, tra l’era Mesozoica, dominata dai grandi rettili, e l’era Cenozoica . Questo piccolo strato corrisponde alla grande estinzione di massa che determinò la scomparsa del 75% delle specie viventi, durante la quale si estinsero anche i dinosauri.
Nel 1980, Walter e Luis Alvarez, scienziati dell’Università di California, pubblicano su una prestigiosa rivista scientifica i risultati delle loro indagini sulle rocce del Bottaccione affermando che la causa dell’estinzione avvenuta al limite tra il Cretaceo e il Paleogene è da imputare a cause extraterresti. Infatti il sottile strato di
argilla rossastra di circa 1 cm, la cui età coincide con l’estinzione, presenta una concentrazione elevata di iridio. Questo elemento è rarissimo sulla Terra, ma presente in corpi rocciosi extraterrestri quali i meteoriti. Secondo questa teoria un enorme asteroide di 10 km di diametro colpì la Terra circa 66 milioni di anni fa, provocando una serie di sconvolgimenti climatici fatali a molte specie allora viventi e immettendo nell’atmosfera una notevole quantità di iridio. Negli anni’90 , nel mare del Golfo del Messico di fronte alla penisola dello Yucatan è stata scoperta la prova di questo impatto: un enorme cratere che è stato chiamato Chicxulub Le datazioni radiometriche effettuate in loco hanno che questo cratere sottomarino, del diametro tra 180 e 300 km, si formò circa 66 milioni di anni fa, come confermato dal ritrovamento di miriadi di piccole sferule vetrose probabilmente derivanti da rocce fuso proiettato nell’atmosfera al momento della collisione, che sono state ritrovate anche nelle rocce di Gubbio.
Dalla Gola del Bottaccione, proseguendo in direzione di Scheggia, si attraversano tutte le rocce formatesi negli ultimi 90 milioni di anni : Scaglia Rossa, Scaglia Variegata e Scaglia Cinerea, fino alle rocce Marnoso-Arenacee formatesi 11 milioni di anni fa che troviamo a Madonna della Cima e nella valle che scende a Scheggia. Da questo momento è iniziato il sollevamento (orogenesi) delle dorsali montuose umbre come oggi le vediamo . Da Scheggia entriamo nel Parco del Monte Cucco percorrendo la Valle del Sentino, scavata dal torrente nelle rocce calcaree raggiungendo il
Geosito delle ammoniti di Ponte Calcara dove troviamo gli strati del Rosso Ammonitico e della Corniola . Questo giacimento è noto in tutto il mondo e studiato fin dall’ottocento per l’abbondanza di resti fossili di ammoniti , molluschi estinti parenti del Nautilus, risalenti ad un intervallo di tempo che va da 184 a 180 milioni di anni fa. La qualità di ammoniti presenti in questi strati rocciosi è assolutamente straordinaria. I fossili di Ammoniti sono impronte di pietra di molluschi vissuti in ere geologiche molto lontane, costituiscono un grande e affascinante spettacolo della natura. La tipica colorazione rossa si deve all’elevato contenuto di ossidi di ferro. Si stima che in un milione di anni si accumulassero solo 4 metri di sedimento.
Siamo ormai giunti nel cuore del Parco regionale del Monte Cucco che comprende il territorio dei comuni di Scheggia e Pascelupo, Costacciaro, Sigillo e Fossato di Vico , posto al confine nord-est dell’Umbria , delimitato dal crinale dei monti Appennini su cui svetta il Cucco (metri 1.566), dal percorso storico della Via Flaminia, dai fiumi Sentino e Chiascio. Il paesaggio offerto dal Massiccio del Monte Cucco ha un andamento variegato: valli rinserrate che si inseguono con guglie, pinnacoli e terrazzamenti, con canaloni e gole, le forre millenarie che lo rendono aspro ma anche dolci e morbidi pendii con conche e valli coltivate. In questo ambiente naturale superbo si alternano boschi suggestivi di faggi secolari (Fagus Sylvatica) dall’altissimo fusto e di lecci ( Quercus Ilex) che dominano rupi e pareti calcaree. Sotto i faggi e nelle praterie crescono magnifici esemplari di Agrifoglio (Ilex Aquifolium) . Le chiome dei faggi lasciano filtrare la luce e offrono protezione , di conseguenza lo stato arbustivo ed erbaceo comprende un maggior numero di specie; sotto le faggete ci sono tanti piccoli fiori: violette, ciclamini, primule, anemoni e bucaneve e fragoline selvatiche. I grandi prati, poi, che si aprono sulle sommità più elevate, accolgono narcisi e crochi viola e gialli, ma anche deliziosi cespugli di rose canine, orchidee, nontiscordadimè . La vita che popola questo scenario di ambienti variegati e antichissimi è rappresentata da un indice di biodiversità notevole: il lupo predatore, le volpi insieme ai tassi, alle faine alle donnole; gli scoiattoli, i ghiri e i moscardini; e tanti uccelli comprese le coturnici delle cime più alte e l’aquila reale, la poiana e il falco pellegrino. E’ il territorio delle acque sotterranee, dei corsi d’acqua incontaminati limpidi e ossigenati e delle sorgenti, che sono ombreggiati dai salici, dalle piante di nocciolo e dall’olmo montano e che ospitano la trota fario,il gambero di fiume .Se parliamo di corsi d’acqua non si può non citare quello che è forse il più importante fra tutti: il torrente Scirca. Ha origine nel ventre del Monte Cucco, come la maggior parte della rete idrica superficiale, nasce a 576 m. e le sue acque vengono captate per rifornire l’acquedotto di Villa Scirca , uno dei più grandi acquedotti dell’Umbria, che con la sua portata massima di 115 litri al secondo rifornisce la città di Perugia, nonché i Comuni di Sigillo e Costacciaro.
ll Massiccio del Monte Cucco è una delle poche zone appenniniche che possiede, a quote elevate, un corso d’acqua perenne, Rio Freddo. Il lento e incessante lavorio del corso d’acqua ha fatto sì che le rocce siano state tagliato dall’alto verso il basso per chilometri di lunghezza e per una profondità che può raggiungere anche i 200 m. Tra le alte pareti il Rio Freddo, da origine a cascate, rapide, pozze di acqua limpida , meandri strettissimi dove a malapena filtra la luce del sole. Nella Forra il paesaggio è primordiale e ogni passaggio richiede una preparazione e una attrezzatura specifica e l’accompagnamento delle esperte Guide del Monte Cucco.
Monte Cucco è anche conosciuto a livello internazionale per la sua Grotta, il fenomeno carsico più imponente, con il suo sistema sotterraneo vastissimo che si estende per oltre 30 km., raggiungendo la profondità massima di 923 m.
L’Accesso principale, con un pozzo di 27 m. di profondità attrezzato con una scala di sicurezza permette di raggiungere una serie di grandissimi saloni in rapida successione: la Cattedrale, la Sala Margherita, il Giardino di Pietra, la Sala del Becco, la Sala delle Fontane, la Sala Simonetti, le Condotte Termali, la Sala Terminale con la possibilità di ammirare le spettacolari formazioni stalattitiche e stalagmitiche incredibili ed imponenti, dove ogni goccia ha ripetuto per centinaia di migliaia di anni il suo lavoro di deposito di cristalli e candide colate di stalattiti e stalagmiti.
Continuando il nostro viaggio verso sud incontriamo le montagne di Gualdo Tadino caratterizzate da un notevole patrimonio naturalistico e ambientale, costituito da boschi e pinete frutto di rimboschimenti nell’ultimo secolo, ampie distese di prati perenni che danno vita a suggestive fioriture policrome e da cime panoramiche tutelate dell’Area Sic (Siti di Importanza Comunitaria) Monti Maggio e Nero. Le cime più sbelle ed importanti sono Monte Maggio (m. 1361), Monte Serrasanta (m. 1348), Monte Penna (m. 1432). Tra Monte Maggio e Serrasanta è incastonata la Valsorda (1006 m), vallata che trae il suo nome dall’assenza dell’eco.Rappresenta la località più celebre della montagna gualdese, dove è possibile praticare non solo escursionismo e trekking, ma anche equitazione, sci da fondo, mountain bike e volo a vela. Sulle creste degli Appennini di Gualdo Tadino lo sguardo spazia dal Monte Catria, Monte Cucco sino ai Sibillini e si posa su affascinanti borghi pedemontani e, nelle giornate più limpide, sul mare Adriatico.
Dalla splendida Valsorda è possibile raggiungere le vette circostanti attraverso antichi sentieri e tratturi, raggiungendo uno dei suoi gioielli storici come il Santuario della SS. Trinità al Serrasanta, eretto sulle rovine di un antico romitorio benedettino, dal quale si gode di una incantevole vista sulla vallata della via consolare Flaminia. La natura qui è molto generosa: sono decine le specie vegetali tipiche, fra le quali moltissime e rarissime varietà di orchidee selvatiche, gigli, narcisi, la cui fioritura è particolarmente spettacolare da maggio fino a giugno, quando i prati si colorano delle tinte più disparate.
Il territorio è ricco di sorgenti di acque freschissime, la più famosa, per l’omonima acqua minerale, è la sorgente della Rocchetta che sgorga dalla montagna gualdese nella Valle del Fonno. Altre sorgenti presenti sul territorio sono la sorgente di Capodacqua nei pressi della quale sorgeva l’antico romitorio dei Santi Gervasio e Protasio. Altra importante sorgente è quella di Santo Marzio che alimenta l’acquedotto cittadino.
Il nostro ideale viaggio attraverso l’Appennino del Nord – Est dell’Umbria volge al termine.Ci dirigiamo ancora verso Sud in direzione di Nocera Umbra, splendido borgo medievale circondato da una ambiente naturale di Grande Pregio. Raggiungiamo il Monte Alago , un altopiano distante 4 km. da Nocera Umbra e posto a m. 946 s.l.m.. Il suo nome deriva dalla presenza di un antico lago che, nel corso dei secoli, è andato prosciugandosi lasciando spazio all’attuale prato. E’ interessante l’ambiente naturale circostante, ricco di vegetazione mediterranea. A nord est del Monte, si erge la cima del Monte Burella (m. 1095 s.l.m.) bellissimo balcone naturale sugli Appennini. Esso è un toponimo umbro dalla radice POR=Altura; nella sua sommità, probabilmente, si trovava una zona sacra di cui oggi restano la delimitazione sacra e reperti dispersi. A sovrastare Nocera Umbra con la sua mole imponente troviamo il Monte Pennino (m. 1570 s.l.m).. Anticamente era il monte sacro per eccellenza ed era dedicato al dio Pen, la divinità celtica che ha dato il nome alla Catena montuosa degli Appennini. Sulla sua sommità vi era un’ampia area sacra, luogo di culto delle popolazioni locali sia in epoca celtica che romana. Dalle sue pendici nei pressi della frazione di Bagnara sgorga la sorgente che da origine al fiume Topino, e da qui parte anche l’acquedotto di Bagnara che rifornisce la città di Perugia. Nocera umbra è chiamata anche “la città delle acque” per la grande quantità di sorgenti che sgorgano dal Monte Pennino e che hanno anche proprietà curative riconosciute da secoli. Anche San Francesco, nel 1226, poche settimane prima di morire, era presso l’eremo della “Romita” nelle vicinanze di Nocera Umbra, per curarsi con le acque curative della “sorgente Angelica”.