Il ramo romano degli Allegrini ha inizio intorno al 1601, con il trasferimento dall’Umbria a Roma del pittore Flaminio, nato nel 1587 circa, presumibilmente a Cantiano (PU). Nel 1613 l’artista sposa Virginia, figlia del collega bresciano Giacomo Stella, e nello stesso anno acquista una casa a Campo Marzio. Due anni dopo nasce la primogenita Flavia, seguita da Brigida (1620), da Francesco Maria (1623) e infine da Anna Angelica (1626).

Dopo aver trascorso qualche anno a Napoli (tra il 1617 e il 1624 circa), Flaminio vive stabilmente nella città dei Papi dal 1625 e, a partire dal 1645 fino alla morte nel 1666, risiede a Trastevere in via della Lungara.

Il suo unico figlio maschio, Francesco Maria, che seguirà le sue orme di artista, nasce a Napoli il 31 Maggio 1623. Il suo atto di nascita è stato recentemente rinvenuto nell’Archivio Storico Diocesano della città partenopea, negli Stati delle Anime del Duomo (Nocella, 2023).

La storia familiare e professionale dei due Allegrini è stata per diverso tempo legata a

un’interpretazione errata dei dati anagrafici da parte di alcuni biografi e, successivamente, di gran parte della critica.

Un primo studio monografico sulla loro attività (Nocella 2007), ha avuto l’intento di distinguere le notizie certe dalle ricostruzioni ipotetiche e in molti casi fuorvianti. Grazie alla corposa documentazione allora rinvenuta, si sono potute delineare meglio entrambe le personalità artistiche e fare qualche passo in avanti nella definizione dell’intricata questione familiare.

Così il biografo Baldinucci, nella biografia di Francesco:

[…] il padre suo Flamminio, che abitava la nominata Terra di Cantiano, fu di professione pittore; e

osservando che a Francesco col crescere dell’età, andava anche crescendo il genio ch’egli ebbe fin da fanciullo all’esercizio del disegno, deliberò di metterlo a quell’arte, sotto la disciplina del cavaliere Giuseppe d’Arpino: appresso al quale si avanzò tanto, che divenne buon pittore”.

A seguito della morte del Cavalier d’Arpino nel 1640, Francesco prosegue il proprio apprendistato nella bottega di Pietro da Cortona, pittore che aveva cominciato a dettare il gusto nella Roma del tempo e grazie al quale ottiene, in anni successivi, alcune importanti commissioni nella capitale.

Nel 1644 due figure di massimo rilievo, fondamentali per la sua carriera a Roma e a Gubbio, diventano rispettivamente vescovo e papa. Il 14 marzo, infatti, l’assisiate monsignore Alessandro Sperelli (1589-1672) viene nominato a furor di popolo vescovo di Gubbio, e il 15 settembre ascende al soglio pontificio l’avvocato concistoriale e uditore di Rota di origine eugubina Giovan Battista Pamphilj, con il nome Innocenzo X (1574-1655).

In virtù di queste relazioni, Francesco otterrà le sue commissioni più importanti. Per lo Sperelli, quasi certamente conosciuto a Roma, eseguirà la decorazione della Cappella del Sacramento nel Duomo di Gubbio tra il 1652 e il 1654, e più di vent’anni dopo dirigerà il cantiere della chiesa della Madonna del Prato, magnifica copia del San Carlino alle Quattro Fontane del Borromini.

Il 13 giugno 1655 il pittore diviene Accademico di San Luca[1] e di lì a poco riceve la commissione per gli affreschi da realizzare in sette stanze di Palazzo Pamphilj a piazza Navona, tra le quali si conserva il suo indiscusso capolavoro, suo apice cortonesco, ovvero la Sala con le storie di Enea e Didone, corrispondente alla camera da letto di Innocenzo X.

La sua lunga attività è ripartita tra Roma, in cui opera tra il 1645 e il 1660 circa, e Gubbio, dove è

documentato con discontinuità a partire dal 1652. Il trasferimento dell’Allegrini nella cittadina umbra sembrerebbe risalire al 1661, anche se non fu definitivo come finora ritenuto.

Negli Stati delle Anime di Santa Dorotea, parrocchia della famiglia, è documentata la sua presenza nella città dei Papi dal 1650 al 1652, dal 1655 al 1661 e infine negli ultimi due anni di vita, cioè tra il 1682 e il 1684. Si può supporre che, prima del 1650, Francesco abbia vissuto in un’altra casa vicina e che, in seguito al matrimonio con Margherita De Rubeis (1630 ca – ante 1684) si trasferisca a vivere con i propri genitori. Fino al 1661, sono documentate a Roma anche le due figlie del pittore, Flavia Domitilla (1649-ante1684) e Silvia Dorotea (1651-post 1684) che, presumibilmente proprio nello stesso anno, entrarono nel monastero eugubino di Santa Lucia.

Tra il 1653 ed il 1654 il pittore vive a Gubbio, come dimostrano sia i comprovati affreschi del Duomo, sia l’assenza dalla casa romana. Un documento eugubino del 1656 in cui l’Allegrini risulta “al presente abitante in Gubbio…”, quando contemporaneamente si trova con la sua famiglia a Roma, ci aiuta a comprendere i continui spostamenti del pittore, che proseguiranno anche dopo il 1661. Infatti, intorno al 1665 Francesco lavora nella Villa Giraud di Roma e, presumibilmente, fa ritorno nell’Urbe anche nell’anno successivo, in agosto per la morte del padre e ancora in ottobre, quando cede il suo terzo della casa paterna alla sorella Brigida.

Così, malgrado le incongruenze spesso rilevate nelle fonti è possibile dividere in quattro fasi la carriera artistica dell’Allegrini:

  • 1645-52 ca: “prima fase romana”, in cui, terminato l’apprendistato presso il Cavalier d’Arpino prima e il Cortona poi, dipinge due tele per Santa Maria dell’Umiltà e affresca la Stanza di Mosè a Palazzo Altieri;
  • 1652-55 ca: “primo periodo eugubino”, nel quale è impegnato nella cappella del Sacramento del Duomo, importante banco di prova per la sua futura carriera locale;
  • 1655-1660: “seconda fase romana”, in cui è attivo nella cappella di Sant’Alessandro ai Ss. Cosma e Damiano, e in una serie di palazzi nobiliari come quello dei Pamphilj e dei Costaguti;
  • 1661-1682 ca: “secondo periodo eugubino”, nel quale è consacrato il maggior pittore locale. La decorazione della chiesa della Madonna del Prato, nonché le numerose tele per le più importanti famiglie gentilizie eugubine, tra cui i Ranghiasci, i Franciarini, i Beni e i Pieri, costituiscono la prova che egli proseguì in provincia l’attività iniziata a Roma per ricche committenze private.

L’Allegrini rientrò a Roma nel 1682, probabilmente dopo il 9 dicembre, poiché un documento eugubino, riguardante una commissione per il pittore o per altri “di bona mano”, dimostrerebbe che l’ormai anziano maestro in quella data si trovava ancora a Gubbio.

Nel corso di una malattia durata più di un mese, l’11 luglio 1684 detta il suo testamento e muore a Roma il 21 luglio. Come da sue volontà, il corpo fu deposto nella chiesa trasteverina di Santa Maria della Scala.

Manuela Nocella